domenica 29 settembre 2024

A giorni alterni

Sei come una meteora.

Sei come una metafora.

Mastichi grovigli di parole accartocciate su se stesse.

Fumi nubi all’orizzonte e le spazzi via come se niente fosse.

Ed io non faccio altro che restare lì, al tuo fianco, ai tuoi piedi, al tuo cuore, illudendomi che la tua immagine sia reale, che il tuo pensiero sia tangibile e definito, ferendomi nel cercare di stare al tuo passo. Al tuo universo sottosopra.

Ti ho visto cadere a testa in su, con i tuoi capelli che ondeggiavano controsenso.

Ti ho visto galleggiare su lastre di vetro che al tuo tocco si frantumavano in diecimila schegge.

Ti ho visto camminare su diecimila schegge che ad ogni tuo passo si ricomponevano in lastre di vetro sempre più spesse.

Sempre più spesso ho cercato di sorreggerti e di sorreggermi a mia volta. Ma più mi avvicino, più sei lontano.

Di te, parli. Soltanto di te. E quando mi accorgo che non esiste nient’altro, non so se sorridere o piangere. Non so se io stesso faccio parte di te o del nient’altro di cui ti circondi.

Sento il tuo odore che mi entra negli occhi e mi fa esplodere il cranio.

Sento il tuo accento col quale mi racconti i tuoi segreti e penso che forse quei segreti sono anche i miei.

Sento la tua pelle sudare e strusciare sulla mia in un gioco di attriti ed intese.

Sento i tuoi graffi, quando tenti di scappare chissà dove, chissà da chi.

Ho perso la battaglia. Ho perso la guerra. Ho perso la pace.

E a giorni alterni perdo anche te.


lunedì 23 settembre 2024

Castelli in aria

Ricordo quella notte color del miele, quando i tuoi occhi si scontrarono coi miei.

Ricordo il sapore delle stelle nere sopra di noi, e tutto il dolore che circondava le nostre mani sudate. Ricordo il tremore delle tue guance, cariche di rosso, cariche di rabbia. Penso “che stupido che sono stato!” quando ti ho detto di no, quando ti ho detto “fermo, non farlo”, sperando dentro di me che invece lo facessi, che prendessi l’iniziativa di fare quel passo verso di me, verso il mio cuore raggrinzito, perso, grigio.

Anche ora che sei lontano o forse vicino ma io non ti vedo, anche ora, l’aria ha lo stesso sapore di quella notte. Ed io penso e ripenso e rimugino su quanto ti vorrei, su quanto vorrei toccarti ancora e baciare la tua nuca nascosta, la punta delle tue dita tremanti, il tuo petto gonfio di orgoglio e di vergogna.

Spudorato come sei, come sei sempre stato, il tuo sguardo fisso sul mio, che mi giudica e mi ammonisce per tutti i miei sbagli, dolci e importanti, ma sempre sbagli.

La mia pelle è sensibile come non lo è mai stata prima. Sento i brividi corrermi lungo l’anima.

Esco di casa senza pensare a dove andare e senza sapere se e quando ed in che modo tornerò. Ripercorro la stessa strada che facemmo quella notte color del miele. Rivedo gli stessi palazzi, le stesse vetrine, lo stesso asfalto, ma ogni cosa è distorta, graffiata, bruciata dal vento, dal passato che incombe come un temporale all’orizzonte.

Non ho soldi con me, non ho preso neanche le sigarette.

A che servirebbe fumarne una ora, se non ci sei tu a fumare con me?A che servirebbe stringere gli occhi per cercare di visualizzare la tua immagine, se il tuo volto lo porto tatuato nello stomaco?A che servirebbe versare delle lacrime per te, se tornerebbero su, verso gli occhi, come salmoni che risalgono la corrente?

Eri eterno, intangibile, irraggiungibile, quasi. Eppure ti ho raggiunto e ti ho afferrato per appena cinque minuti. Ho agguantato la tua felpa e ti ho colto di sorpresa. Come un falco che vola verso il sole. Come un falco che vola troppo in alto per poi perdere i sensi e cadere al suolo.

Esatto, ho perso i sensi per te. E non li ho ancora ritrovati. Mi resta solo la speranza di vivere nel chiasso dei tuoi discorsi, delle tue parole confuse e speciali.

Mi resta solo il vuoto che hai riempito con la tua assenza.

E nulla sembra più restare in movimento.

Tutto è fermo, come il mio respiro.