Sei come una meteora.
Sei come una metafora.
Mastichi grovigli di parole accartocciate su se stesse.
Fumi nubi all’orizzonte e le spazzi via come se niente fosse.
Ed io non faccio altro che restare lì, al tuo fianco, ai tuoi piedi, al tuo cuore, illudendomi che la tua immagine sia reale, che il tuo pensiero sia tangibile e definito, ferendomi nel cercare di stare al tuo passo. Al tuo universo sottosopra.
Ti ho visto cadere a testa in su, con i tuoi capelli che ondeggiavano controsenso.
Ti ho visto galleggiare su lastre di vetro che al tuo tocco si frantumavano in diecimila schegge.
Ti ho visto camminare su diecimila schegge che ad ogni tuo passo si ricomponevano in lastre di vetro sempre più spesse.
Sempre più spesso ho cercato di sorreggerti e di sorreggermi a mia volta. Ma più mi avvicino, più sei lontano.
Di te, parli. Soltanto di te. E quando mi accorgo che non esiste nient’altro, non so se sorridere o piangere. Non so se io stesso faccio parte di te o del nient’altro di cui ti circondi.
Sento il tuo odore che mi entra negli occhi e mi fa esplodere il cranio.
Sento il tuo accento col quale mi racconti i tuoi segreti e penso che forse quei segreti sono anche i miei.
Sento la tua pelle sudare e strusciare sulla mia in un gioco di attriti ed intese.
Sento i tuoi graffi, quando tenti di scappare chissà dove, chissà da chi.
Ho perso la battaglia. Ho perso la guerra. Ho perso la pace.
E a giorni alterni perdo anche te.